venerdì 28 settembre 2012

L'INCANTO DI NINA

Nina. Non si poteva dire che Nina, una bimbetta di nove anni, fosse una bellezza. Era un'anonima ragazzina magrolina e dai lineamenti troppo marcati. Gli occhi neri erano infossati nel visetto dalla pelle sempre arrossata dal freddo o da qualche attacco di febbre, e i capelli le cascavano in viso nonostante li legasse continuamente. Da piccola era caduta malamente e quando camminava tendeva a zoppicare appena appena dalla gamba destra. Nina non era nemmeno una bimba sana: per più della metá dell'anno era sempre malata, in modo più o meno grave. Il resto del tempo lo trascorreva alla scuola di danza di Madamoiselle Adelle, esercitandosi con caparbietá e costanza. Vi era stata iscritta da sua madre per cercare di risolvere la zoppia e ben presto per Nina il ballo era diventato il fulcro di ogni suo interesse. Solo danzando la piccola Nina si sentiva in pace con il mondo e dimenticava le prese in giro degli altri bambini e la pietá che percepiva dagli sguardi di certi adulti.

Sua madre, Santine, era una delle lavoranti del grande maestro gioielliere Fabergé. Dal suo paesino in Francia, dove aveva imparato a incastonare le pietre preziose più belle e rare, era stata portata a San Pietroburgo a lavorare per l'ideatore delle meravigliose uova, che tanto piacevano ai reali e ai ricchi del paese e non solo. Nel gelo dell'inverno russo era nata Nina e spesso, negli anni seguenti, la bimba aveva trascorso parecchi pomeriggi, di ritorno dalla scuola di balletto, nella fabbrica in attesa che sua madre terminasse il lungo turno di lavoro.
Quando era sicura che il Maestro non fosse nei paraggi si metteva a danzare, volteggiando armoniosamente tra i tavoli, leggiadra ed eterea come una creatura di fantasia. Al termine faceva la riverenza e riceveva gli applausi delle altre lavoranti.
Era quello che sua madre definiva "L'incanto di Nina", quando volteggiava sulle punte la bimba si trasfigurava, diveniva bellissima con i riccioli sciolti, che in onde sinuose seguivano i movimenti del corpo, le gambe che piroettavano dritte e senza difetti, gli occhi socchiusi assumevano un'espressione estatica. Tutto in lei sprigionava gioia e serenitá, contagiando chi la guardava.
Per le operaie di Fabergé gli intermezzi regalati da Nina sollevavano per pochi minuti lo spirito e speravano per la figlia di Santine un futuro da grande ballerina. Se lo merita, povera creatura coraggiosa, si dicevano pensando alla sua situazione di salute.

Nel 1916, all'inizio di marzo, lo Tsar Nikolaj II mandó a chiamare l'orafo. Gli chiese di creare una delle sue spettacolari uova per la minore delle sue figliole, la Granduchessa Anastasia Nikolaievna Romanova, come dono per la pasqua. Il sovrano di tutte le Russie spiegó che doveva essere qualcosa di mai visto prima. Fabergé, pensieroso, riattraversó San Pietroburgo cercando un'idea che potesse essere originale abbastanza da soddisfare non solo la giovanissima principessa ma soprattutto lo Tsar. A grandi linee sapeva come doveva procedere: un carillon azionato al momento dell'apertura avrebbe diffuso dolci note...e poi ci voleva qualcosa di strabiliante.
Tornó in fabbrica agitato e invece di andare a chiudersi nel suo ufficio decise di passare a vedere come procedeva il lavoro: gli ordini erano molti e la richiesta dello Tsar avrebbe rallentato l'opera. L'uovo per Anastasia aveva la precedenza. Entró nel settore dove lavorava Santine nel bel mezzo di una piroetta di Nina e si fermó abbagliato ad ammirare la grazia della ballerina. Mai gli sembrava di aver veduto bambina più graziosa di quella...e l'idea gli balenó in testa come un fulmine: all'interno del prezioso carillon avrebbe inserito, su un piccolo proscenio di velluto, una riproduzione danzante di Nina. Avrebbe di sicuro appagato la richiesta del monarca. "L'incanto di Nina", si sarebbe chiamato, decise dopo aver ascoltato il racconto di Santine sulla figlia.

Senza porre indugio Fabergé formó una squadra di artigiani per realizzare l'opera: l'esterno sarebbe stato di un intenso viola, lucido, con file di diamanti a decorarne la cinconferenza. In cima avrebbe avuto uno stemma con il monogramma di Anastasia. La chiusura sarebbe stata in oro, con bottoncini di rubino. L'interno, foderato di velluto viola, avrebbe riprodotto l'interno di un teatro e la figuretta di Nina la ballerina si sarebbe esibita al suono di un allegro motivetto tradizionale russo.

Santine era orgogliosa per sua figlia e mentre le voci dell'imminente rivoluzione cominciavano a spargersi anche a San Pietroburgo lei era sempre felice e sorridente. Nina non capiva e proseguiva tra la scuola, il balletto, le ore ad aspettare sua madre in fabbrica e quelle cominciavano ad essere le più divertenti perchè ora aveva il permesso di danzare sempre.
Un abile operaio riprodusse, per un'altezza di circa 12 centimetri, fedelmente l'espressione di pura felicitá di Nina e le movenze del suo delicato corpicino, che adornó con un tutù in miniatura di vaporoso tulle rosa pallido. Tutti erano sicuri che quell'uovo avrebbe avuto un successone.

Giunse l'inizio di marzo del 1917. Scoppió la rivoluzione e il mondo che tutti conoscevano implose, liberando violenza e crudeltá, nel nome del popolo.
Nella fabbrica di Fabergé gli operai stavano completando quello che ormai consideravano il loro capolavoro: le ultime pennellate di smalto, ritocchi alle pietre preziose, il cesello incastonó la firma dell'orafo e anche il piedistallo, su cui la piccola scultura ovoidale fu deposta, venne terminato. Lucidato e impacchettato l'uovo per quella pasqua era pronto per essere consegnato.

Una gelida mattina dell'inizio di marzo del 1917 Fabergé si apprestó a raggiungere il palazzo imperiale per consegnare il dono quando giunse la notizia che lo Tsar aveva abdicato e ufficialmente la monarchia non esisteva più. La famiglia imperiale era imprigionata nel palazzo di Alessandro. La rivoluzione era cominciata, le voci che circolavano erano divenute realtà.
L'orafo comprese che era l'inizio della fine. Scrisse un biglietto e lo affidó alla piccola Nina, dicendole di andare più in fretta che poteva al palazzo e consegnarlo a qualcuno che lo facesse giungere alle mani dell'imperatore Nikolaj. La bimba si involó, ma non giunse mai a destinazione: lungo la via un gruppo di rivoluzionari, alterati dalla vodka, la intravidero sfrecciare e la chiamarono intimandole di fermarsi. Nina non lo fece e quelli spararono per spaventarla, ma un colpo la raggiunse ugualmente e lei cadde neve, esalando un ultimo gelido sospiro.
Santine non sopravvisse alla morte ingiusta di sua figlia, si uccise il giorno del funerale e fu seppellita insieme alla figlia.

Ad ottobre una nuova rivoluzione si accese in ció che restava dell'impero degli tsars e anche Fabergé non fu risparmiato. A dicembre alcuni bolscevichi irruppero nella fabbrica, blocccandolo, e comunicandogli che da quel momento la sua fabbrica sarebbe stata diretta da una commissione di lavoratori.
Tentarono di prendere il pacco, conservato in una vetrinetta, ma alcuni operai si frapposero dicendo che quello era un lavoro personale di Fabergé e come tale non andava toccato. Gli uomini di Lenin se ne andarono berciando ed inneggiando alla rivoluzione e alla nascita di uno stato di equitá per tutti i lavoratori.
L'anno seguente la fabbrica fu nazionalizzata e in estate i Romanov giustiziati. "L'incanto di Nina" era sempre chiuso nel pacco, nessuno l'aveva mai più visto. Fabergé lo prese e lo portó con sé, nel difficile e periglioso viaggio lontano dalla Russia rifugiandosi in Germania e poi passando in Svizzera, nel 1920, insieme al figlio maggiore Eugène. In quei due anni la sua unica compagnia fu proprio quello splendido uovo viola, all'interno del quale si perdeva a fissare per ore la riproduzione di una bambina dai capelli neri che piroettava sulle punte delle sue scarpette da ballo.
Fu col capo reclinato davanti al meraviglioso oggetto che lo trovarono il 24 september 1920.
Nel 1929 Eugène Fabergé riuní le ceneri del padre ponendole all'interno della tomba di sua madre a Cannes. A far compagnia ai due sposi lasció un carillon silenzioso e la ballerina ormai immobile. Anche lei per sempre.